Gruppo Studentesco Cattolico

"Giovanni Paolo II"

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Dalla parola di Dio

Il "sogno" di Gesù Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono: Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola. (Giovanni 10, 27-30) E’ commovente questo Gesù, molto umano, che mentre ci rivela l’enormità del destino d’amore al quale siamo destinati nel piano di Dio, lascia intravedere il suo sogno segreto, palesandolo agli amici che non vogliono ancora capire e credere in Lui fino in fondo. Era andata così: “Ricorreva in quei giorni la festa della Dedicazione. Era d’inverno” (Gv 10,22). Dunque, aveva luogo a Gerusalemme una delle principali feste in occasione della quale, gli ebrei si recavano al monumentale Tempio, unico luogo santissimo del culto ufficiale all’unico Dio d’Israele. Insieme a tanti suoi correligionari anche il Messia annunciato dai Profeti, infatti: “Gesù passeggiava nel Tempio, sotto il portico di Salomone” (Gv 10, 23). Le cose si erano guastate per Gesù, i potenti avevano cominciato a tendergli trappole insidiose per squalificarlo agli occhi dei suoi seguaci e per indurlo a commettere passi falsi, a pronunciare affermazioni compromettenti che permettessero di condurlo di fronte alla giustizia ed eliminarlo legalmente. Ad esempio, si cercava di farlo bestemmiare, un reato che, specialmente quando commesso all’interno del Tempio, conduceva a sicura pena di morte, se non addirittura al linciaggio immediato. Ecco perché ci provano: “Allora i giudei gli si fecero in torno e gli dicevano: - Fino a quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo (=il Signore), dillo a noi apertamente-“ (Gv 10, 24) Alcuni cercavano insomma di indurlo a proclamarsi apertamente Dio nel Tempio in modo da accusarlo pubblicamente di bestemmia e trascinarlo in uno scandalo che avrebbe infiammato subito le genti. Gesù è molto attento a non farsi ingannare e replica. “Ve l’ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; ma voi non credete perché non siete mie pecore” (Gv 10, 25-26). Insomma replica e ribadisce la sua missione divina senza mai pronunciare il nome che avrebbe fatto scattare l’accusa. Capiscono benissimo la sostanza e, comunque, i più fanatici -sappiamo dal racconto successivo (cfr. Gv 10, 31-42)- avevano già portato le pietre e tenteranno ugualmente di lapidarlo: Gesù dovrà fuggire in luoghi meno pericolosi, rinviando soltanto di poco il suo destino. L’episodio, oggi, è prezioso per noi perché Gesù non rinuncia ad esprimersi “col cuore in mano”, come si suol dire, nemmeno di fronte ai nemici. Usa delle immagini metaforiche per non cadere in trappola, immagini però che assumono un valore grande. Personalmente, in questo caso, non mi infastidisce affatto sentirmi dare della pecora dal Signore perché, con quella immagine, Egli mi dice che io sono il suo sogno. Egli desidera che io sia consapevole del dono della vita eterna e dell’affidamento nelle mani del Padre. Sogna che io mi affidi completamente a Lui, che quel dono ha procurato, del tutto fiducioso, come un pecorella quando si affida al pastore. Si! Gesù ha sognato me, al sicuro da tutto e, oggi, nel grande Mistero di fede della Trinità, si può dire, sia pure con un linguaggio che risente dei limiti umani, che Dio continua a “sognarmi” al sicuro nelle proprie “mani”. Ma io, lo so? Ne sono intimamente convinto? Ne sono lietamente responsabile (=colui che risponde)? Vivo nella gioia di questa strepitosa notizia?

 

 

 

 

 

 

 

 

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